
PIERO BIANUCCI
L’appuntamento adesso è per mercoledì mattina, quando lo shuttle Atlantis alzerà la sua orbita fino a raggiungere quella del telescopio spaziale “Hubble” a 500 chilometri dalla superficie della Terra. Si tratterà di salire di poco più di un centinaio di chilometri, la distanza tra Torino e Milano, e di inseguire il telescopio fino a raggiungerlo per poter procedere ai lavori di riparazione e manutenzione (nella foto, una istantanea della missione precedente). Ma non sarà una escursione del tutto tranquilla perché negli ultimi mesi è aumentato il numero dei detriti dispersi intorno al nostro pianeta e una collisione con qualche rottame, anche piccolo, di pochi centimetri di diametro, potrebbe rivelarsi fatale per lo scudo termico della navetta.
Ieri sera, in Italia erano le 20,01, la partenza dell’Atlantis dalla rampa 39A di Cape Canaveral è stata da manuale: puntuale, senza il minimo intoppo nel conto alla rovescia. L’ultima missione per mantenere in efficienza il telescopio “Hubble” non poteva iniziare meglio.
Cinque uscite in attività extraveicolare ora attendono gli specialisti di missione che devono agganciare “Hubble” e rimetterlo in piena efficienza fino – si spera – al 2014, quando sarà pronto a sostituirlo il nuovo telescopio spaziale “Webb”: uno strumento assai diverso non solo perché avrà uno specchio molto più grande ma anche perché lavorerà nel vicino infrarosso (cioè non nella luce visibile ai nostri occhi) e si troverà a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, in uno dei punti di equilibrio gravitazionale di Lagrange. Un posto dove, se qualcosa non funzionasse, nessuna missione con astronauti potrà raggiungerlo.
Il problema dei rottami spaziali che in queste ore preoccupa i sette astronauti a bordo dell’”Atlantis” preoccupa da tempo. I ricercatori europei e italiani fanno la loro parte per affrontarlo. L’Agenzia Spaziale Europea qualche settimana fa ha adottato un algoritmo di quasi 200 mila istruzioni per prevedere e quindi evitare le collisioni tra satelliti e rottami spaziali vaganti in orbita. Ad elaborare questo nuovo software contro il pericoloso “flipper” spaziale è stato Andrea Milani Comparetti con il suo gruppo di meccanica celeste al Dipartimento di matematica dell’Università di Pisa. Che ce ne sia bisogno è dimostrato dalla recente collisione tra due satelliti, uno russo (Cosmos 2251) e uno americano (l’“Iridium 33”), e dai numerosi piccoli incidenti già subiti dallo Shuttle e dalla Stazione spaziale internazionale.
Il progetto è stato assegnato dall’Esa al gruppo di Andrea Milani due anni fa ed è stato presentato alla conferenza sui rottami spaziali conclusasi il 2 aprile a Darmstadt, vicino a Francoforte. Il nuovo algoritmo e il relativo sistema automatico di calcolo delle orbite sono stati messi alla prova per un anno con i dati provenienti dal telescopio di Tenerife dell’Esa. Sedici mesi sono stati sufficienti per ottenere i primi risultati, anche perché si è utilizzato come base di partenza un precedente software già sviluppato per prevedere l’impatto con la Terra di asteroidi.
I detriti spaziali che orbitano intorno alla Terra sono ormai milioni: circa novemila quelli con dimensioni superiori ai 10 centimetri di diametro, attorno ai 100 mila quelli tra 1 e 10 centimetri, mentre i più piccoli raggiungono probabilmente le decine di milioni. Si tratta, soprattutto, di parti di satelliti ormai fuori servizio, di pezzi degli stadi finali dei missili che li hanno portati in orbita, di vecchi serbatoi, ma anche di bulloni, guarnizioni o rottami prodotti da collisioni.
“Per provocare un danno ad un satellite basta un detrito con un diametro di 5/10 centimetri, per distruggerlo ne basta uno di 20 – spiega Andrea Milani – Noi oggi in realtà non conosciamo la maggior parte dei proiettili che possono distruggere un satellite anche perché gli oggetti che riusciamo a vedere superano i 50 centimetri di diametro ”.
L’allarme è aumentato dopo la collisione tra i satelliti Cosmos e Iridium, che ha creato una nuova “nuvola” di rottami. “L’instabilità della costellazione di satelliti Iridium e la possibilità di collisioni – aggiunge Milani – erano già stati previsti con dieci anni di anticipo da un nostro collega, Paolo Farinella in un articolo apparso su “Nature” e “Planetary and Space Science”. Ma ciò che è accaduto è stato anche peggio del previsto perché, essendo lo scontro avvenuto fra due satelliti, gli sciami di frammenti che si sono formati sono addirittura due. Il pericolo sta nel fatto che questi sciami sono su un orbita polare, un orbita cioè che incrocia tutte le altre ad alta velocità. Temiamo quindi una sorta di reazione a catena che renderebbe di fatto ‘inabitabile’ una zona del cielo”.
Fonte:http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=49&ID_articolo=203&ID_sezione=72&sezione=Il%20Cielo